L’intelligenza collettiva è un concetto diffuso dallo studioso francese Pierre Lévy.
Nelle sue opere Levy descrive gli studi che ha effettuato dai primi anni novanta presso il centro di ricerca sull’intelligenza collettiva dell’Università di Ottawa.
Sebbene il termine sia stato definito per la prima volta da Douglas C. Engelbart nel 1962, in un articolo dal titolo Augmenting Human Intellect. A Conceptual Framework, a Levy va il merito di aver approfondito e studiato le potenzialità di questa facoltà mentale umana, contribuendo alla sua divulgazione in ambito sociologico.
La diffusione delle tecniche di comunicazione con dispositivi digitali ha permesso la nascita di nuove modalità di legame sociale, le quali non più fondate su appartenenze territoriali, relazioni istituzionali, o rapporti di potere, ma sul trovarsi tutti intorno ad interessi comuni, che possono essere l’intrattenimento, la condivisione della conoscenza, l’apprendimento cooperativo e progetti in cui la collaborazione è fondamentale. Questi fenomeni danno vita all’idea di “intelligenza collettiva”, ossia una forma di intelligenza presente ovunque, valorizzata nel giusto modo, coordinata in tempo reale, che porta ad un utilizzo comunitario delle competenze di ciascuno. Piuttosto che appiattire l’individuo all’interno di una collettività massificata e uniformante, questa intelligenza distribuita avvia un vero e proprio processo di emancipazione e civilizzazione, poiché pone ogni persona al servizio della comunità, da una parte offrendogli la possibilità di esprimersi continuamente e liberamente, dall’altra di poter contare sulle risorse intellettuali e sull’insieme delle qualità della comunità stessa.
Come afferma Wikipedia:
L’intelligenza collettiva, dunque, espande la capacità produttiva della comunità, perché libera i singoli aderenti dalle limitazioni della propria memoria e consente al gruppo di affidarsi a una gamma più vasta di competenze. Gli assiomi di partenza dell’argomentazione di Lévy sono che il sapere è sempre diffuso – “nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa” – e che “la totalità del sapere risiede nell’umanità”. Tutta l’esperienza del mondo, quindi, coincide con ciò che le persone condividono e non esiste alcuna riserva di conoscenza trascendente.